La mia prima seria vacanza in tre anni… volo da Atlanta a Roma, cerco di dormire per anticipare un cambio di fuso orario al quale sono completamente disabituato.
Mi sono sempre chiesto come faccia ad esserci una differenza di prezzo doppia fra la prima classe e “coach”- ma credo che la mia schiena cominci ad esigere un trattamento di migliore livello. Dopo una notte insonne, passata a vedere film inevitabilmente mancati dalla frenetica routine di lavoro che precede ogni mio viaggio, arrivo a Roma-Fiumicino trafelato – un aereo pieno di bambini, caffè e cibo sintetico, e queste poltrone scomodissime dove non ci si può distendere neanche a provarci. Chiropratici romani, dove siete?
Per rammentarmi dell’Italia odierna, l’Alitalia mi da il benvenuto sbagliando i biglietti della seconda tratta – a mente mia, io volavo Delta. Becco di straforo un volo Easy-Jet per Palermo, e come ad un viaggiatore del terzo mondo, non mi engono date indicazioni sul dove si trovi il Terminal di questa compagnia per sfigati… Il mio strategico lay-over si riduce cosi’ di tre ore. Sfuma pertanto il mio sogno di passare da Trastevere e Campo dei Fiori, e di li passeggiare verso Piazza Navona per poi dirigermi a Piazza di Spagna e sedermi alla “Barcaccia” con un tramezzino in mano – sarebbe vile assaggiare Roma per un ora e mezza.
Dopo il primo obbligatorio cappuccino d’arrivo – primo segno di un Paradiso perduto – mi si prospetta un calvario di quattro ore d’attesa in un aeroporto affollato, obsoleto, irrazionale e inintelligibile ad esseri pseudo-americanizzati come me, che pretendono di non dover fare sforzi esoterici ne domande per orientarsi. Figuriamoci! Al Terminal 3 dei nazionali, nel mezzo del trambusto dei soliti punti di vendita, di fronte a Dolce e Gabbana (che ho sempre snobbato, ma che comunque e’ già meglio del pacchiano Versace), scopro per puro caso un brandello di antica nobiltà – vedi caso a forma di barca – dal nome “al Frescobaldi”, casato memore di nobili vini e di tre famosi punti di ristoro italiani, di cui uno a Roma. Bresaola, formaggi sopraffini, insalate freschissime, salmone affumicato, carne alla tartara e simili leccornie in piena vista su vassoi bianchissimi, clienti in giacca e cravatta, camerieri in divisa… una vera oasi dove, pasteggiando con i vini sopraffini della Toscana, quasi ci si ricorda della vera Italia, di quella che ho lasciato io negli anni settanta, ignaro di cosa avrei rinunciato… Do una ravviata ai miei capelli, scompigliati da una notte insonne, e mi avvio presso il solo posto disponibile al bancone. Cerco di ringalluzzirmi con un bicchiere di Prosecco – comincia ad annegare il mio dispiacere… che gli italiani facciano egualmente per altre ragioni? E’ strano quanto poco basti a dar pace ad un’anima in pena. Dopo dieci ore di sbobba servita in contenitori plastica, con un vero calice in mano, sto già meglio. Persino il mio notorio semi-impegnato dialogo trova degno confronto con Hugo Patrick Doyle, un gentiluomo irlandese che fa cortesemente spazio al mio vagante “gruppo di famiglia”. Ha una pronuncia italiana perfetta – fatto raro oggigiorno, persino presso gli italiani! Si chiacchiera del più e del meno, di come certe città possano calzare la forma mentis di un adulto esigente – di come altre siano rimaste preda dell’assalto edilizio e siano brutte da vivere, di come parti di Roma si siano salvate a tale destino… Così, mentre le mie piccole, Layla e Valentina, familiarizzano con i primi segni della classe culinaria italiana – spero che si dimentichino per sempre dell’abominevole McDonald – il mio disperato vagare aereoportuense in cerca di sollievo trova una pausa di sollievo.
Finalmente si fa ora di avviarsi verso la porta d’imbarco. Questa compagnia sarebbe perfetta in Papuasia. Fanno gli hips, ma non ti danno neanche l’acqua. Paghi per il bagaglio eccedente, a poco per l’aria che respiri. Fra il fatto che non dormo dal giorno prima, che la prima doccia in vista e’ ancora a tre ore di distanza, persino Easy Jet passa sotto al mio severo giudizio da antico pesce fuor d’acqua moderna… Nella tratta di volo Roma-Palermo, mi accorgo che la luce del Mediterraneo e’ diversa, che l’arrivo in Sicilia vuoi per nave che per navetta, ha qualcosa di magico. Si passa sopra Ustica, isola leggendaria. Punta Raisi ha l’aspetto selvaggio di una Sicilia che e’ pressoché scomparsa.
Palermo e’ una città molto particolare. Lo e’ per il suo nobile assetto urbanistico, ma anche perché i palermitani sono una razza a parte. Incredibilmente fieri ed orgogliosi, fanno ben poco per far emergere l’isola, per valorizzarne le sue incredibili bellezze naturali. Affascinante e romantica, Palermo nasconde un atavico sonno, un’incapacità di auto-gestirsi e di scrollarsi di dosso il gretto individualismo dei suoi miopi politici, tipico segno di gente di bassa estrazione – rustica progenie, come la definisce il mio amico Gattopardo, Angelo Dagnino. A dispetto di una economia che non funziona, di una mancanza di orizzonti, persino di mancanza di valide speranze per i più, la gente sembra sapersi godere la vita molto meglio di noi (americani e americanizzati) che, al confronto, abbiamo di quasi tutto. Non vi e’ sera che non vi sia un evento culturale, un concerto, una festa, un banchetto, una inaugurazione. La gente celebra, in un certo senso ignorando le ristrettezze dei tempi. In un’apparente decadenza, la gente finge di non accorgersi che la città e’ piena di immondizia non raccolta, che le strade non sono state pulite da mesi, che l’amministrazione comunale e’ in bancarotta. La pendente minaccia della collettiva cessione di un decimo dello stipendio per sanare il bilancio nazionale pende su ogni onesto contribuente come una spada di Damocle. Eppure si vive e si cerca di stare allegri. Alle feste, che si susseguono senza requiem, ci si ritrova fra vecchi amici, gente che non vedo da decenni ma con la quale giocavo quando ero bambino. Carlo – famossissimo ex-newyorkese – supera se stesso con una festa in giardino che si articola per ben cinque ore, fra cibi sopraffini e leccornie come il gelo di melone rosso (anguria) con i fiori di gelsomino, e i gelsi freschi su un letto di crema pasticcera. Yumm. Mara, mia amica d’infanzia, non e’ da meno la settimana seguente con una “festa al tramonto” con tanto di gruppo di suonatori di flamenco, sulle terrazze di un appartamento dal quale si vede l’intera città. Sembra di essere in un film. Che spettacolo.
Hummm… improvvisamente la mia cinta mi viene stretta. Credo d’aver messo su un paio di chiletti di pura felicità. Banchetti a parte, il gelato siciliano ne e’ la colpa: questo balsamo degli dei, questo momento di autentica libidine, che ti tenta una, due, tre volte al giorno… Nella mia costante ricerca di grandi artisti del gelato, con conosciute leggende del passato come Giovanni Ilardo – creatori del divino chantilly di riso, revivalista della Scorsonera (cannella e gelsomino), il gelato più antico del mondo – incontro Peppe Cuti, maestro emergente, quarantenne e già famoso internazionalmente, incredibilmente alla mano – prepara gusti inauditi, come il gelato di sedano, pesche, perine, susine, albicocche, nespole, un delicatissimo limone al basilico, una cioccolata che supera in purezza ed intensità le migliori tavolette svizzere… Penso già al rientro, a come farò a nutrirmi adeguatamente in un mondo dove per mangiare decentemente devi far da te. E cosa dirvi delle immersioni libere nelle acque blu della Baia di Sferracavallo a provare il Lunocet – un’invenzione del nostro Ted Ciamillo – una pinna caudale in grado di trasformare un individuo in un delfino. Visibilità’ perfetta fino a trenta metri: sembrava di essere in un altro mondo.
Che barba gli azzurri ai mondiali di calcio. Quanto tempo, perso a guardare una squadra soporifera, completamente disconnessa, pigra, demotivata, una squadra di giocatori troppo ben pagati per muovere un muscolo a favore della patria e della gloria. Ex campioni: un’ombra del passato, direi; una squadra che non merita di stare accanto a mostri come la Germania o l’Olanda. Per fortuna che esistono squadre come il Ghana e l’Uruguay la cui semifinale ha mostrato il dinamismo l’intensità e le emozioni che ci si aspetterebbe dai campionati del mondo. Delusione, pur tuttavia necessaria, visto che questa e’ una lezione da prendere prima di decidere che e’ venuto il tempo di qualche seria riforma.
Non vi narro delle bellezze delle coste della Sicilia per non farvi ingelosire, delle granite di mandorla a Cefalu’, mangiate di fronte al Duomo, dei vicoletti medievali di Erice, dei suoi famosi biscotti, della caponata di melanzane di Giovanna Tornabene – autrice di ben tre libri di cucina siciliana, cuoca leggendaria – caponata mangiata col pane casereccio nella tenuta di Gangivecchio, stile campagnolo, con tanto di vino locale, tavolata di trenta persone, fichi freschi, lasagne ripiene da leccarsi i baffi… E poi cosa sono le calette siciliane? Calampiso ci rapisce con i suoi anfratti primitivi alla “sbarco di Ulisse.” Mondello mi ricorda delle Maldive, con la sua spiaggia di sabbia finissima, belle donne in bikini, giovani aitanti abbronzatissimi, bambini che cercano conchiglie e costruiscono castelli di sabbia. Il mondo di e’ rimpicciolito: gli oramai familiari extra-comunitari, che girano per le spiagge vendendo oggetti, portano aria di mondi lontani con il loro braccialetti di perline o i sandali di pelle fatti amano.
Ultima settimana. Serata cocktail da Gaia e Marco, miei amici di lunga data, nella cornice della spettacolare Villa Bordonaro, dove abitano, vengo presentato ad un giovane ingegnere: Marco Giammona. Facciamo immediatamente lega, essendo entrambi “developers” avendo comuni natali, condividendo un amore profondo per la Sicilia, soprattutto per il suo patrimonio architettonico e culturale. Mi invita il giorno dopo a vedere alcune delle sue realizzazioni. Non riesco a credere ai miei occhi: palazzi nobiliari recuperati al degrado e alla fatiscenza, restaurati da manuale, con appartamenti e spazi modernissimi al loro interno – the best of both worlds. Mi fa vedere cose mirabolanti come il recupero del Palazzo Sambuca, dove lui adesso abita, il Palazzo Moncada, in via di ultimazione, con abitazioni da mille e una notte. A parte il valore del suo lavoro, mi fa onore vedere che realizzazioni di questo livello sono ancora possibili in Italia, che esiste una committenza, un desiderio di sentire il passato e di valorizzarne i trascorsi.
L’Italia e’ in continua ebollizione culturale, attentissima a quel che avviene nel mondo. Ogni sera vi e’ un concerto, una mostra, un evento pubblico. Glia amici ti rapiscono, non consentendo alcuna scusa come quella – vergognosa – di esser stanchi. Quattro settimane passano in fretta. Si fa il momento di salutare tutti – due giorni a girare fra parenti e amici. Abbracci, promesse di rivedersi presto – questa e’ la prima volta che l’Italia fa colpo sul mio cuore con le stesse cose che mi sono lasciato indietro quando decisi che il lavoro e la carriera contavano più di una società che senti vicina e che ti appartiene. A buoni intenditori poche parole.
Rientriamo, non senza notare che bisogna passare attraverso un totale di otto controlli in un volo internazionale, rientriamo, stanchi ma euforici per le scoperte, per la sensazione di fondo che abitare in America non e’ un paradigma impenetrabile e definitivo. A bordo della Delta, una vera novità. I film nei monitor hanno i sottotitoli in cinese. Wow! Per un attimo, ho pensato che qualcosa di importante fosse successo in mia assenza – che so, che la Cina avesse deciso di acquistare il debito americano, in cambio di un favore linguistico di questo genere… It turns out to be a glitch. Sarà per la prossima volta.[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]